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«MI METTO AL LAVORO PER RILANCIARE L’OPERATIVITÀ DEL FAPI»: INTERVISTA ESCLUSIVA ALL'AVVOCATO BRUNO DI PIETRO, NUOVO DIRETTORE DEL FONDO

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«Semplificazione amministrativa e fluidificazione delle fasi decisionali»: sono due dei temi chiave che vedranno al lavoro l’avvocato Bruno Di Pietro, nuovo Direttore Generale del Fondo FAPI. In questa intervista esclusiva per Confapi Padova affronta le priorità del suo mandato, tra criticità («È urgente ridiscutere la questione del prelievo forzoso governativo, che mette a rischio l’offerta formativa») e sfide «(Occorre ridefinire le funzioni degli Enti Bilaterali») per il Fondo che, solo nell’ultimo anno, ha stanziato 13 milioni di finanziamenti alle imprese. «Padova? Un esempio virtuoso».

Avvocato, innanzitutto congratulazioni per il nuovo incarico. Peraltro lei collaborava già con il Fapi.

«Grazie, ma oltre agli onori ci sono anche gli oneri e in questo incarico di oneri ce ne sono molti e per una serie di ragioni. Sono facilitato in parte nella mia attività proprio per il fatto che non sono una new entry del Fondo, ma collaboro con il Fapi già da vari anni in qualità di componente del Nucleo Tecnico di Valutazione e quindi in parte il mio compito sembrerebbe facilitato perché conosco molto bene alcune dinamiche di funzionamento del Fondo. Però le dinamiche sono sempre più complesse di quanto possa sembrare e inoltre in questo momento vi sono delle influenze esterne date dalla situazione economica».

Qual è lo stato di salute del Fondo oggi e quali saranno i suoi primi passi alla direzione?

«Nonostante la crisi per la pandemia da covid-19 abbia colpito l’intero sistema produttivo ed economico italiano, il fondo FAPI ha mantenuto dei dati stabili, attestandosi a circa 50 mila imprese iscritte per un complessivo di circa 300 mila lavoratori. Questa tenuta si è realizzata grazie a decisioni oculate da parte dei nostri Amministratori e utilizzando risorse, impegno e competenze esclusivamente interne.

Le questioni più urgenti, nella attuale specifica fase economica, mi sembrano quelle che riguardano il funzionamento dei Fondi. Mi sembra, cioè, giunto il momento che si inizi anzitutto una seria riflessione sulle caratteristiche e sulla opportunità del prelievo forzoso che ogni governo applica dal 2013 ai Fondi interprofessionali, rischiando di provocare una costante diminuzione di risorse dedicate alla formazione. Tali modalità di prelievo, in effetti, comportano una effettiva diminuzione dell’entità complessiva dello 0,30% dei versamenti mensili dovuti all’Inps per ogni dipendente e che vengono poi riallocate presso i Fondi, come stabilito dalla L. 388/2000. Ora, lo 0,30% era già di per sé insufficiente per gestire un’adeguata formazione di qualità per lo sviluppo delle competenze dei lavoratori. Con il prelievo forzoso governativo, si va, quindi, ad aggravare una situazione già difficile, in quanto la percentuale effettiva - cioè reale - di trasferimenti ai Fondi, secondo dati pubblicati dal Sole 24 Ore un paio di anni fa, si attesta all’incirca poco sotto lo 0,20%».

Quindi si mette a rischio l’offerta formativa?

«Certo. La formazione continua e il miglioramento e lo sviluppo delle competenze dei lavoratori sono l’unico serio strumento che può funzionare da volano per un reale vantaggio competitivo delle imprese italiane. Ripensare criticamente le modalità di finanziamento della formazione significa poter garantire maggiori risorse a favore dei Fondi interprofessionali che sono attualmente - lo ripeto - uno degli strumenti più efficaci che abbiamo come sistema economico per garantire un costante miglioramento quantitativo e qualitativo della formazione dei lavoratori. I Fondi sono realtà diffuse su tutto il territorio e sono estese ad ogni livello. Potrebbero essere lo snodo fondamentale per impostare una rigorosa ristrutturazione delle politiche attive del lavoro che sia in grado di garantire nel tempo non solo maggiori competenze finalizzate a una migliore competitività delle nostre imprese, ma può essere anche uno strumento privilegiato per cercare di diminuire i livelli di disoccupazione, che sarà la vera emergenza dell’immediato futuro post-covid.

Su questa linea, il Presidente del FAPI, il Dott. Luca Sanlorenzo, si sta mobilitando da almeno un anno e mezzo, richiedendo insistentemente e formalmente ai vari Ministri del lavoro e delle politiche sociali di porre termine a questo insostenibile prelievo forzoso governativo, ripristinando almeno l’integralità del contributo dello 0,30% destinato alla formazione continua.

Inoltre, l'offerta formativa si mette a rischio non solo per via del prelievo forzoso, ma anche per effetto del meccanismo di collegamento diretto tra quote versate e numero dei dipendenti di un’impresa. Tale meccanismo prevede il versamento, in media, di una quota di circa 40 euro/anno per dipendente. Si può comprendere, dunque, che una media/piccola impresa teoricamente non potrebbe mai puntare a una formazione innovativa e di alta qualità, soprattutto in un periodo di transizione 4.0».

Su questo ultimo aspetto qual è la politica del FAPI?

«Per ovviare a questa carenza di risorse economiche da destinare alla formazione continua, che potrebbe penalizzare i più piccoli, il FAPI, da sempre, ha scelto di puntare su un meccanismo integralmente “solidaristico”, che attualmente consente anche all’azienda più piccola e con meno dipendenti di muoversi alla pari con le realtà produttive numericamente più significative, rispetto alla possibilità di fare formazione. Possiamo dirci orgogliosi di queste modalità di gestione della formazione continua che ci differenzia anche da altri Fondi. Non a caso, è l’aspetto su cui più insiste il nostro Presidente Sanlorenzo nei vari incontri organizzati dalle nostre strutture territoriali CONFAPI, quale parte datoriale socia del fondo, insieme alle Organizzazioni Sindacali più rappresentative ossia CGIL, CISL e UIL, unitamente all’Ordine dei Consulenti del Lavoro e alle Regioni».

Quindi nell’immediato quali saranno le sue prime azioni?

«Il mio compito, ora, sarà in primo luogo quello di rilanciare l’operatività e la funzionalità del FAPI. Ciò avverrà in parte in continuità con la precedente direzione retta dal Dott. Giorgio Tamaro, che continuerà a collaborare con il Fondo per alcuni mesi. Ma inevitabilmente la mia azione sarà anche in discontinuità con le gestioni precedenti, perché in epoca post-covid vi è la necessità di nuove azioni che rendano il FAPI ancora più funzionale agli obiettivi di rinnovata crescita delle imprese. Ciò comporterà la necessità di una complessiva e profonda revisione delle procedure interne, all’insegna della semplificazione amministrativa e della fluidificazione delle fasi decisionali, per rendere sempre più attrattiva l’adesione al FAPI da parte degli operatori economici.

Inoltre, elemento fondamentale è il territorio. Le indicazioni che saranno raccolte costantemente dalla platea dei nostri attuatori e dalle nostre imprese aderenti attraverso i nostri rappresentanti Confapi, con i quali è costante e continuo il dialogo e lo scambio di informazioni e suggerimenti, verranno incrociate le innovative procedure interne in modo da individuare soluzioni più efficaci per una migliore offerta di strumenti di formazione continua, sempre, ovviamente, nel rispetto delle normative ministeriali.

Penso che con l’ottimizzazione di un’offerta formativa sempre più ampia e di maggior attrattività, oltre allo snellimento delle procedure interne, le rappresentanze territoriali potranno svolgere nella maniera più idonea possibile le azioni di fidelizzazione delle adesioni al Fapi».

Attraverso quali strumenti pratici cercherà di raggiungere questi risultati?

«Procederemo anzitutto a velocizzare ulteriormente i lavori di valutazione, in modo da assicurare alle nostre imprese, in tempi sempre più certi, i necessari fondi economici per la formazione continua del loro personale. Per fare ciò, il Fondo ha selezionato un Nucleo di Valutazione Tecnica dotato di competenza ed esperienza inusuale e che non teme pari anche nei confronti dei Fondi più grandi del nostro. Tutto ciò, unito alla profonda competenza e professionalità degli uffici interni, costituisce l’insieme degli elementi da cui ripartire in sicurezza per la fase post-covid.

Poi, una volta avviate concretamente e messe a regime le azioni di miglioramento delle procedure interne, inizierà una sorta di “seconda fase”, in cui attraverso il supporto del nostro Ufficio Marketing, si punterà molto sulla diffusione del valore “solidaristico” del nostro Fondo Formazione e sulla creazione di una rinnovata offerta formativa, attraverso eventi promossi dal sistema della bilateralità di Confapi-CGIL-CISL-UIL nei confronti di imprese, enti formativi e stakeholders; inoltre ci doteremo di una comunicazione sempre più forte sui media di ultima generazione, valorizzando la sensibilità ed attenzione al principio “solidaristico” sostenuto dalle nostre componenti datoriali e sindacali costitutive del Fondo rispetto ai temi istituzionali di attenzione alle politiche formative delle aziende e dei lavoratori ed al sostegno alle politiche attive per il lavoro».

Negli ultimi anni la presenza di aziende aderenti al Fondo, a Padova e in Veneto in particolare, è cresciuta costantemente. Alle spalle però abbiamo un anno e mezzo di pandemia, che ha mutato radicalmente il quadro in cui operano le Pmi. Come sono cambiate di conseguenza le direttive che guidano i vostri interventi?

«Padova, insieme alle altre associazioni sul territorio del sistema Confapi, è sicuramente un esempio “virtuoso” a livello nazionale per la formazione finanziata da FAPI con i suoi oltre 11 mila lavoratori aderenti, come da ultimo dato fornito dall’Inps.

In merito all’emergenza sanitaria connessa alla pandemia da covid-19, il FAPI ha deciso rispondere in modo mirato sul territorio nazionale ai bisogni dei lavoratori e delle imprese, deliberando nel 2020 l’Avviso Covid, diffondendo, il più possibile, le misure formative per il contrasto efficace della pandemia e per la prevenzione della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro.

Sempre con riferimento alla situazione di emergenza pandemica, il FAPI ha reso possibile programmare tutte le ore di formazione contenute nei Piani e Progetti formativi in modalità di teleformazione, mantenendo, come da disposizioni di legge vigenti, la formazione in presenza solo per i corsi di formazione in materia di salute e sicurezza e per le attività assimilabili a laboratori, come il “training on the job”.

Per il periodo di transizione verso una società non dico libera dal covid, ma che almeno ci sappia fare i conti, si tratterà di studiare prevalentemente strumenti per soccorrere i lavoratori che rischieranno di trovarsi esclusi dal mondo del lavoro, riqualificando le loro competenze per mantenere inalterato per quanto possibile il loro grado di occupabilità e quindi permettere alle imprese di poter contare su personale e collaboratori di forte impatto innovativo e massimamente professionalizzato. Quindi ritengo che gli interventi maggioritari nei prossimi mesi saranno sicuramente dedicati a questo tema».

Pochi mesi fa, partecipando a un webinar organizzato da Confapi Veneto, il presidente Sanlorenzo ha ricordato come, solo negli ultimi tre anni, il Fapi abbia stanziato piani per quasi 100 milioni. Quali sono gli stanziamenti previsti per i prossimi mesi? Può darci qualche anticipazione?

«Già dal 2020, il FAPI ha puntato su un’offerta formativa non più di tipo semestrale ma trimestrale, con l’obiettivo di fornire un valore aggiunto alla strategia di crescita del fondo venendo incontro alle esigenze di programmazione dell’attività formativa delle imprese.

Infatti, gli Avvisi deliberati nel 2020 dalla precedente amministrazione, sono stati per un valore totale di oltre 13 milioni di euro al netto delle riserve utilizzate per finanziare tutti i piani in overbooking, contribuendo, ancora una volta, ad aiutare tutte le nostre imprese aderenti in un periodo delicato come quello che stiamo vivendo.

Come anticipato a inizio intervista, nonostante le grandi difficoltà che ha causato il covid a tutto il sistema produttivo italiano, il FAPI ha mantenuto dati abbastanza stabili in termini di adesioni, questo grazie anche al prezioso contributo delle associazioni territoriali del sistema Confapi, attuando anche adeguate politiche di fidelizzazione delle imprese grazie ad un sistema di premialità presente negli Avvisi Fapi.

Chiaro che, per effetto della crisi - la cassa integrazione, posizioni Inps momentaneamente sospese o addirittura cessate - abbiamo subito una normale contrazione in termini economici, contrazione che è stata aggravata anche per effetto dei ritardi dei pagamenti dei contributi ripartiti dall’Inps al Fondo. Questi ritardi, ovviamente, potranno incidere negativamente nell’immediato, causando una temporanea contrazione dei fondi a disposizione. Ma, appunto, credo che tale possibile contrazione non sia destinata a durare, visto che sembra che la macchina economica italiana si sia rimessa in moto anche grazie al sacrificio e alla abnegazione di migliaia di piccoli e piccolissimi imprenditori, che sono il nostro zoccolo duro, i quali hanno stretto i denti e nonostante tutto hanno trovato il coraggio e la forza di continuare la loro attività, spesso impegnando o mettendo a rischio sostanze personali.

A livello previsionale non sono ancora in grado di dare numeri certi, in quanto occorrerà valutare nel prossimo futuro quanto ha realmente inciso la devastante crisi del sistema economico. Ma faremo tutto il possibile per limitare i danni, tenendo duro e ricominciando a lavorare giornalmente, un passo alla volta, per garantire efficaci politiche gestionali per i nostri aderenti».

Nel PNRR un posto di primo piano lo occupano settori come la digitalizzazione e il green: quanto è forte il gap competitivo in questi ambiti nelle imprese italiane e come si potrà colmare?

«In Italia la carenza negli investimenti nel digitale e nel green o nell’economia circolare non sono cosa nuova, frutto della scarsa oculatezza della classe dirigente, oltre che dei numerosi problemi noti legati alla storia Paese.

Per quanto riguarda il digitale, il lockdown ha giocoforza accelerato i processi di digitalizzazione, facendo fare di necessità, virtù. Tuttavia, l’Italia rimane ancora indietro rispetto agli altri membri dell’Unione Europea.

Finalmente il Governo tramite il PNRR ha inviato un segnale forte sulla transizione verde e digitale. Vedremo se le risorse e la modalità della gestione degli interventi saranno sufficienti a recuperare il gap e porre le basi per un sistema nazionale più competitivo.

Inoltre, sempre nel PNRR, si dedica tanta attenzione alla formazione e alle nuove Politiche Attive del Lavoro.

Lo vediamo anche dal rafforzamento del Fondo Nuove Competenze (FNC), già istituito sperimentalmente dall’ANPAL nel 2020 per consentire alle aziende di rimodulare l’orario di lavoro, al fine di favorire attività di formazione sulla base di specifici accordi collettivi con le organizzazioni sindacali.

A tal proposito ricordo che il FAPI è stato probabilmente il primo Fondo Interprofessionale in Italia ad approvare un Avviso espressamente dedicato al Fondo Nuove Competenze stanziando un milione di euro, integrando le risorse già messe a disposizione dal FNC.

Sappiamo tutti che l’Italia non è stata mai efficientissima nella capacità di gestire i fondi comunitari. Però la formazione sarà il motore trainante del PNRR. Sarà fondamentale pertanto un ruolo attivo dei fondi interprofessionali nella gestione diretta delle risorse. Insomma, se vogliamo davvero riavviare la ripartenza economica, il PNRR dovrà tradursi in azioni concrete con ampie risorse da destinare alle politiche attive.

Anche il Dott. Maurizio Casasco, Presidente Nazionale di Confapi, durante i vari incontri con il Governo, ha più volte rimarcato la necessità di studiare ed attuare un grande piano per la formazione, orientato a soddisfare la domanda crescente di competenze altamente innovative, in linea con gli scenari economici e produttivi che stanno emergendo. Bisognerà trovarsi pronti a riqualificare i lavoratori la cui esperienza tende a essere obsoleta e ad affrontare la crisi occupazionale che si potrà determinare con la fine del blocco dei licenziamenti. Non solo. I nuovi scenari che si prospettano, impongono una profonda riforma delle funzioni degli Enti Bilaterali, che dovrebbero essere autorizzati, ad esempio, a curare istituzionalmente la formazione sia di coloro che perdono il lavoro, e sia di coloro che escono dalle scuole e/o che si affacciano per la prima volta nel mondo del lavoro. Insomma dovrebbero essere istituzionalmente dedicati a dare sia nuove competenze a coloro che attualmente non possono più spendere le loro e che rischiano di essere tagliati fuori dal mondo del lavoro e sia a dare adeguate “prime” competenze specifiche post-scolastiche a coloro che ancora non entrano nel mondo del lavoro. In questi anni i Fondi interprofessionali hanno dimostrato di sapere utilizzare nel modo migliore le disponibilità economiche e quindi di essere elementi centrali per la realizzazione di politiche economiche condivise tra i vari attori sociali e dunque tali competenze e professionalità non vanno trascurate ma vanno messe al centro del sistema produttivo nazionale».

 

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